Voi sapete che io ho la nomina (non di senatore, per carità) che sono un orso, ho un carattere spinoso, che sfuggo, sono sfuggente. Non è vero. Se io non fossi stato sfuggente, se non fossi stato un orso, se non fossi stato uno che si mette da parte, non avrei potuto scrivere cinquantacinque commedie.
Insisto col dire: Il Teatro, se lo si vuol fare seriamente, è altruistico non egoistico; l’altruismo ritorna, l’egoismo ti manda all’altro mondo.
Questo l’ho fatto perché così è la mia vita, così come sono nato, così come mi hanno insegnato i maestri di un tempo. Perché sono venuto qui stasera? Eh beh, certo me ne sarei stato a casa, come ho fatto sempre, a scribacchiare qualche ultimo pensiero, qualche ultima follia. Ma ho detto: no. Io ci devo andare perché è la festa dell’arte, è la festa degli attori, e finalmente li voglio guardare in faccia, tutti quanti. Voglio, voglio vedere anch’io il teatro dalla platea, voglio anch’io vedere il teatro che cammina, voglio vedere il teatro che non si arrende, che va avanti con i giovani, con gli anziani, con i vecchi come me, che va avanti. Ecco perché sono tra voi stasera. Per vedere questa serata di festa.
Fare teatro sul serio significa sacrificare una vita. Sono cresciuti i figli e non me ne sono accorto. Meno male che mio figlio è cresciuto bene. Questo è il dono più grosso e importante che io ho avuto dalla natura. Senza mio figlio forse io me ne sarei andato all’altro mondo tanti anni fa, e io debbo a lui il resto della mia vita. Lui ha contraccambiato in pieno. Scusate se faccio ora questo discorso. Non ne ho mai parlato. Si è presentato da sé, è venuto dalla gavetta, sotto il gelo delle mie abitudini teatrali: quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare… È stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo: così si fa il teatro. Così ho fatto. Ma il cuore ha tremato sempre, tutte le sere, tutte le prime rappresentazioni. E l’ho pagato. Anche stasera batte. E continuerà a battere, anche quando si sarà fermato.